La parola più cercata su Google nel 2009? Facebook. E la scelta dell'Oxford Dictionary come parola dell'anno? "To unfriend", letteralmente "disamicare" cioè,come ben saprete,cancellare un utente dalla propria lista amici di Facebook. Non è che uno dei sintomi del boom italiano e planetario dei cosiddetti social network, ovvero delle "reti sociali" che servono a connettere le persone tra di loro. Piattaforme gratuite che consentono di inserire testi, immagini e video, scambiandosi informazioni, saperi, idee, conoscenze ( e chiacchiere da bar condite saporitamente da mille cazzate).
Un veicolo pubblicitario
Oggi nel mondo sono collegate da Facebook circa 350 milioni di persone, oltre 17 milioni in Italia. L’Italia è uno dei paesi in cui c’è stato maggior incremento: +135% nel 2008. La maggior parte degli utenti sono ultratrentacinquenni. Una miniera d’oro per i pubblicitari: perché la funzione di Facebook e di molti altri social network – il fatto per cui sono gratuiti – è veicolare pubblicità alle persone giuste. Facebook sa chi siamo, attraverso le nostre foto, i discorsi che scambiamo con gli amici, i nostri commenti, e così carpisce i nostri gusti. Tuttavia secondo il sondaggio SicuramenteWeb, progetto di responsabilità sociale di Microsoft in collaborazione con Polizia di stato, solo il 49% degli utenti italiani sa quali sono i dati in possesso dei social network, mentre il 41% crede che questi ultimi non possano fare della pubblicità mirata in base al proprio profilo inserito in rete. Eppure è così: tutto ciò che inseriamo su Facebook, è di proprietà di Facebook che può usare queste informazioni come meglio crede. Cioè per trarne vantaggi pubblicitari. Tanto che il guadagno settimanale della compagnia – una società di diritto americana, la Facebook Inc. – sarebbe, secondo stime risalenti al 2006 e riportate dalla enciclopedia on line Wikipedia, di 1,5 milioni di dollari. La società russa Digital Sky Technologies avrebbe valutato la società 6,5 miliardi di dollari. "È evidente – spiega Massimo Zamperini, chief technology officier di Value Team, una delle più importanti aziende europee di information technology - che chi invia messaggi pubblicitari al grande pubblico è sempre più preoccupato per il raggiungimento del target, cosa che la tv generalista, ad esempio, assicura sempre meno. Ma se un’azienda va in un ambiente in cui c’è passaparola, la comunicazione pubblicitaria è efficace più che altrove". Negli Stati Uniti, secondo stime della società di consulenza per il marketing "tecnologico" Altimeter Group, le aziende attive su Facebook hanno visto crescere i loro fatturati del 18%, nonostante la crisi.
La rete come socialità
Mica male per una piattaforma nata nel 2004 appena, da un’idea di Mark Zuckerberg, studente diciannovenne di Harvard. Facebook non è che uno dei tanti social network diffusi nel mondo. Secondo Wikipedia – che, a suo modo, è a sua volta un social network – i più seguiti sono circa una ventina. I più diffusi, oltre a Facebook, sono Twitter e Myspace. "I numeri della diffusione dei social network - prosegue Zamperini - ci fanno capire che ormai siamo praticamente tutti connessi. Perché i social network in generale, e Facebook in particolare, sono semplici da usare. Sono gratuiti. Danno una risposta alla attitudine intrinseca di Internet e cioè al bisogno di socialità. E non sono un mondo altro, come potevano essere Second Life e le chat dove ci si costruiva un doppio della nostra identità. Le reti sociali sono il mondo reale, popolato da identità reali. Infatti sono poche le persone che usano le reti per conoscere nuove persone. Ciò che ci importa è rimanere in contatto con chi conosciamo già. Ed è molto più divertente rivelare la propria identità piuttosto che nasconderla". Al massimo, dicono le statistiche, conosciamo gli amici dei nostri amici, ma l’attività maggiore – cioè scambiarsi informazioni, foto, video – è con chi conosciamo già. Oppure discutere di politica o di qualsiasi altro tema con chi come noi è interessato alla medesima questione, o magari con un autorevole esperto del settore, un po’ come accadeva nei newsgroup, i gruppi di discussione che sono nati assieme ad internet. "Le reti sono anche il luogo dove trovare cose che non sapevi di voler trovare – spiega Nicola Bigi, ricercatore al dipartimento di Scienze sociali, cognitive e quantitative dell’università di Modena e Reggio – è un luogo dove girano informazioni diverse da quelle dei media tradizionali. Stimolano l’immaginazione in modo più complesso e fantasioso. E inoltre è ormai chiaro che la cosa più interessante di quello che succede con i social network è quello che succede off line, non on line". Accadono off line, infatti, le manifestazioni organizzate attraverso i social network. Off line si discute in parlamento di quello che viene dibattuto on line. Off line si vincono elezioni che si sono anche in parte già vinte on line, se è vero – come dice uno dei guru dell’informatica, Nicholas Negroponte – che Obama ha vinto le elezioni grazie a You Tube, l’archivio visuale della rete. "L’intuizione di Obama – spiega Bigi – è stata quella di costruire la sua agenda politica attraverso i social network. Ma a casa nostra quasi nessun politico, e anche pochissime istituzioni, sanno capire le potenzialità di questo nuovo strumento. Usare questa nuova modalità comunicativa significa metterci la faccia... mentre per i più è solo un altro modo di contattare potenziali elettori, non di mettersi dalla parte dei cittadini e condividerne le esigenze. Normalmente i luoghi come Twitter e Facebook vengono usati dai politici solo per rilanciare interviste rilasciate alla tv o alla stampa". "La novità politica dei social network è che chiunque di noi, in potenza, può denunciare un torto o un’ingiustizia, anche piccola, a livello locale, che senza questo nuovo strumento non sarebbe mai emersa. Magari perché avviene lontano dalle telecamere o dallo sguardo di un cronista", conferma Zamperini. O anche perché i media tradizionali sono imbavagliati, come è accaduto in Iran, dove la rivoluzione verde è stata raccontata via telefonino attraverso Twitter e anche i telegiornali tradizionali rilanciavano le immagini sgranate riprese fortunosamente dai cellulari. Oppure perché, semplicemente, i media non ci sono, e - come dopo la catastrofe a Haiti - le persone sono totalmente isolate. Tranne che per i social network che, anche in quel caso, sono diventati l’unico legame tra i terremotati e il resto del mondo.
"Sempre di più i media tradizionali devono occuparsi di ciò che avviene on line, anche a livello politico – spiega Fabio Giglietto, docente di Teoria dell’informazione all’università di Urbino – e devono trovare un modo di includere questi contenuti generati dagli utenti. Così stiamo assistendo a una sorta di cooperazione tra strutture, quelle generate dal basso e quelle dall’alto. Credo comunque che si rischi spesso di fare molto retorica sui fenomeni di aggregazione dal basso. Nel caso del successo di Obama, ad esempio, non c’è stata alcuna forma di autoregolazione dal basso, ma uno staff di gente molto competente che ha consentito a chi sosteneva il candidato di autorganizzarsi. È anche il caso di Wikipedia, la libera enciclopedia on line, organizzata su un gruppo di volontari che moderano, coordinano e controllano le pagine modificate dagli utenti, ovvero i contributi di una pluralità di compilatori competenti in determinati ambiti. Il risultato finale è un modello organizzativo ad elevata partecipazione che sembra generare benessere collettivo molto più di quanto non facciano i modelli tradizionali".
I tentativi di censura
Ma in rete non è tutt’oro quel che luccica. Anzitutto perché possono passare contenuti odiosi, discriminatori o minacciosi. Controllarli? Difficile, la rete non si imbavaglia e il vantaggio che se ne trarrebbe sarebbe del tutto inferiore al danno complessivo, cioè la censura su tutti i contenuti. "Sulla rete c’è di tutto, ovviamente, e non per colpa della rete. Non è che quando è stata inventata la stampa siamo diventati tutti degli intellettuali. Come nel mondo ci sono maniaci e psicopatici, così anche nella rete. Ma questo non mi scandalizza - spiega Zamperini - perché mi costringe a fare i conti con una realtà spiacevole e a combatterla". Insomma, non è il mezzo in sé a far male e Internet non è diversa dalla realtà, in cui vigono leggi che devono essere rispettate. Negli Usa Obama riceve intimidazioni continue attraverso Internet, ma a nessuno viene in mente di censurare la Rete. Così il governo ha – per il momento – rinunciato alla scellerata ipotesi di una legge di censura dei contenuti delle reti sociali, ipotesi che era emersa nei giorni seguenti all’aggressione al premier Berlusconi. Il ministro Maroni ha comunque annunciato l’apertura di un tavolo di dialogo coi gestori dei maggiori gestori di social network per individuare procedure di autoregolamentazione che consentano di intervenire qualora si ravvisino violazioni di legge.
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